Satya, onestà e rispetto



“Non troverai mai la verità, se non sei disposto ad accettare 
anche ciò che non ti aspettavi di trovare.”
Eraclito

SATYA, ONESTA' E RISPETTO

Siedi tranquillo e prendi qualche respiro profondo, ascolta.
Ascolta i suoi ed i profumi che mutano nello spazio di una manciata di ore mentre la stagione cambia.
Ascolta il tuo peso, il tuo cuore…poi:
Prova a rispondere:

-         -  Quale verità non hai rivelato?
-         -  Quale verità non ti è stata rivelata?
-        -   Quale verità di te hai scoperto e accettato?
-          - Quale verità di te non vuoi vedere?

Sei riuscito a dare una risposta alle domande? E’ stato semplice? Sei stato sincero?
Sei solo con te stesso e ciò che rispondi resta a te, per te. Se ti andrà, prova a rileggere le domande dopo aver terminato la lettura del post.


   Siamo sulla via di Patanjali, stiamo percorrendo i gradini di yama e niyama, forse accorgendoci di quanto siano ripidi e scoscesi. Il secondo passo posa su “Satya”, la Verità.
Concetto affatto banale, anche se troppo spesso abusato.
Ricordiamo che, come per gli altri precetti, abbiamo tre livelli di interpretazione: azione, parola e pensiero.
Il vero è costantemente con noi, attorno a noi, sulla nostra pelle. Crescendo impariamo delle verità che ci accompagnano poi per buona parte, o per tutta, la nostra vita. Ma come acquisiamo la “verità”?
Vorrei portare la vostra attenzione sul metodo di riconoscimento. Ognuno di noi possiede dei filtri fatti di memorie, esperienze, preconcetti culturali, sociali, religiosi con i quali distorce le informazioni che giungono sia dal mondo esterno che dai propri sensi. In base a questi filtri cataloga l’informazione: vera o non vera; accettabile o no. Sorvolando quindi, per qualche momento, sull’informazione stessa, proviamo a fare una riflessione: conosciamo i nostri filtri? Li abbiamo mai presi in considerazione? Non è cosa da poco dato che ogni nostra scelta, ogni nostra azione, deriva da una reazione all’informazione acquisita; e se l’informazione stessa è malamente distorta la nostra azione avrà basi errate o poco solide e molto probabilmente si rivelerà dannosa. 

Esempio in ambiente lavorativo: con quale filtro esamino l’atteggiamento del mio datore di lavoro? Sono obbiettiva nel comprendere i suoi atteggiamenti dettati dalla necessità imprenditoriale e dal rischio d’impresa? Comprendo che il suo rivolgersi a me facilmente è impersonale e guidato dalla necessità di coprire spese di cui nemmeno conosco l’esistenza? Oppure mi sento solo vittima di un tiranno malevolo che ha deciso di farmi soffrire per un suo capriccio? In questo caso se distorco la realtà vivo male il mio lavoro, sentendomi schiavo ad ogni trillo di sveglia, vivendo ogni giorno come una condanna nell’attesa dell’opportunità di svignarmela da quella galera….per finire poi in un’altra ripercorrendo il medesimo sentiero. Perché ogni datore di lavoro avrà il suo atteggiamento “imprenditoriale” che io non vorrò vedere a causa del mio filtro vittimistico.

Esempio contrario: sono consapevole che il mio dipendente non è a conoscenza dello stress che una ditta propria può causare? La mia scelta di vita imprenditoriale, comprensiva di rischi, che richiede la mia totale dedizione nella lotta al mercato, alle novità, alle crisi, alle necessità burocratiche, è solo mia. Non posso pretendere che il mio dipendente la debba condividere con me. Ho concordato con lui un orario lavorativo dandogli mansioni che devo accertarmi di aver spiegato correttamente al fine di permettere alla persona di eseguire al meglio ciò che io stesso richiedo. Se non sarò consapevole di questo tratterò il mio dipendente come un socio che non esegue la sua parte, caricandolo di responsabilità che non gli competono e trattandolo come non merita.

Esempio relazionale: conosco la persona che ho scelto di avere accanto? Il suo modo di fare, di vedere la vita, i suoi gusti, le sue necessità, le sue tradizioni? Condivido, comprendo e accetto tutto questo? Oppure sto lavorando, magari non del tutto consapevolmente, per tentare di trasformare quella persona nell’immagine che io ho di “compagno ideale”? Guidandolo in modo più o meno aperto a seguire il mio modo di fare, i miei gusti, le mie necessità? Nell’insano tentativo di modellare quella persona secondo miei standard personali. Oppure, al contrario: conosco me stesso e le mie necessità? La persona che mi è accanto mi aiuta a valorizzare le mie inclinazioni? Oppure cerca di modificarle? Mi sento libero di esprimere me stesso o indosso una maschera in cerca di approvazione?

Esempio personale: l’idea che ho di me stesso è obbiettiva oppure ingombra di paragoni con quello che è l’ideale di aspetto/atteggiamento che la società o la famiglia richiedono all’individuo?

E centinaia di altri esempi si potrebbero fare…



   Essere sinceri significa essere liberi. 


Liberi di vedere il mondo, i suoi abitanti e noi stessi per ciò che realmente sono le loro caratteristiche. Liberi dal giudizio e dalla paura di venir giudicati. Liberi di poter agire secondo rispettoso piacere e non secondo imposto dovere. Liberi di potersi esprimere.
Alla base di tutto, sempre presente, “Ahimsa”, perché la verità non deve nuocere. Essere veri non significa non porsi il problema dell’altro. Conoscere una verità “scomoda” non significa necessariamente esprimerla a discapito dell’altro.
La comunicazione della verità poggia su due pilastri fondamentali: non nuocere e onestà. Onestà nel domandarsi la reale motivazione alla base della comunicazione: “è davvero necessario comunicare questa verità”? E, ancora prima: questa che io ritengo verità, è oggettiva? Ne sono davvero certo…?
L’individuo consapevole e corretto analizza con obbiettività l’informazione che riceve, che sia esterna o personale. Una valutazione obbiettiva consentirà una corretta conseguenza, nel rispetto di se stesso, dell’altro, e dell’ambiente, in azione, parola o pensiero. Essere onesti non è semplice; né con sé stessi nè con il prossimo, né tantomeno con le situazioni che ci troviamo a dover affrontare nel percorso della nostra esistenza. Osservare le nostre realtà ci pone di fronte alle nostre paure, alle nostre mancanze, ai nostri dubbi. A ciò che abbiamo scelto di fare per gli altri senza tenere davvero conto delle risorse a nostra disposizione e delle conseguenze dei carichi emotivi che ci siamo accollati. Di fondamentale importanza è comprendere cosa realmente compete a noi e cosa appartiene per diritto e dovere ad altri. Nei gesti che mascheriamo come amore e protezione nei riguardi di amici e familiari spesso si celano nostre insicurezze, paure, desideri di comando o utilità, di sentirci indispensabili, voglia di rivalsa, paura dell’abbandono…quale verità si cela dietro le nostre azioni? Quale dietro le nostre scelte, le nostre parole, le nostre emozioni?

Ogni esperienza ed ogni sguardo che interseca il nostro cammino può essere occasione di crescita personale e di auto conoscenza se riportata a noi stessi. Proviamo ad ascoltarci ed a farci qualche domanda in più nel nostro quotidiano…non con la voglia di coglierci in fallo, come il gatto aspetta il topo, ma con il desiderio amorevole di comprensione. Con lo stesso cuore aperto della mamma che osserva il figlio senza farsi troppo notare, pronta ad aiutarlo a rialzarsi se cade, senza desiderio di giudizio né di iper-controllo, ma solo con volontà di rispettosa protezione, nel sincero desiderio di fornire a quella creatura quante più competenze possibili per poter affrontare in autonomia la sua vita. Allo stesso modo, genitori amorevoli, onesti e sinceri di noi stessi, siamo tenuti ad osservare il nostro stesso operato con apertura e comprensione, imparando dagli errori, senza attaccamento, pronti a rialzarci ad ogni inciampo, pronti a perdonarci se necessario, capaci di valorizzare i nostri pregi e lavorare sui nostri difetti in un cammino di crescita personale che tenga sempre conto dell’altro, rispettosamente.

Namastè


YAMA
Ahimsâ
Satya
Asteya
Brahmacharya
Aparigraha


NIYAMA
Sauca
Samtosa
Tapas
Svâdhyâya
Îsvara pranidhâna





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