Ogni anno propongo, a chi desidera partecipare, un ciclo di
meditazioni.
Il tema di quest’anno è particolarmente impegnativo:
Yama e
Niyama.
Ma non intendo oggi parlare dei singoli elementi,
lo farò di
volta in volta nel corso delle singole esperienze.
Desidero, invece, trattare un concetto fondamentale che lega
tutte le pratiche di meditazione “con seme”: il simbolo.
La meditazione con seme è sicuramente un più semplice
approccio a questa pratica millenaria e per nulla banale come spesso la si
vuole intendere. Meditare non significa “farsi un viaggio”, ne tanto meno contare
i granelli di polvere nell’aria (anche se come metodo di approccio non lo
escluderei…).
Contemplare è meditare. Meditare è fermare la mente.
Fissarla su qualcosa, governandola.
Perché che la mente sia irrequieta lo sappiamo tutti…
a volte
impazzita come il gatto che corre in corridoio, altre imbizzarrita, altre
ancora semplicemente irrefrenabile…
ma davvero non ha briglie?
Le briglie le ha, le abbiamo noi in verità. Nessuno in
genera ci pone nell’ascolto del brusio che costantemente fluisce tra le nostre
tempie senza quasi darci quiete…ma funziona un po' come quel rumore di
sottofondo che nessuno nota fino a che non cessa, ed eccolo: il respiro di
sollievo, la pace, il silenzio… eppure nessuno in genere si pone il problema di
come fare ad usare quelle briglie che abbiamo in dotazione senza a volte
saperlo. Alcuni trovano naturalmente la loro pace in attività varie: la
pittura, i puzzle, la scrittura, il trekking, la corsa, il climbing, l’alpinismo,
il modellismo…ma cosa hanno in comune tutte queste attività apparentemente
tanto distanti? La necessità della concentrazione del mentale.
Provateci ad arrampicare distrattamente….!! O a scrivere un
articolo pensando ad altro…
Il nodo della questione, che a raccontarlo sa un po' di
banalità, sta proprio qui: occupare la mente.
La nostra mente ha bisogno di macinare costantemente
qualcosa? Va bene, ma dobbiamo siamo noi a decidere cosa. In questo modo daremo
in pasto alla mente irrequieta solo buon cibo…senza lasciare che s’ingozzi di
schifezze portandoci chissà dove, creando uno stato di tensione continua.
In sostanza che si fa? Si sceglie un oggetto e lo si contempla.
Contemplare: osservare senza giudizio; l’oggetto deve diventare esso stesso la nostra
mente. In modo stabile e fermo.
E vi assicuro che non è né facile né noioso: richiede
attenzione, forza di volontà e allenamento costante.
Provare per credere.
In genere il primo oggetto è il proprio respiro, cercando
sempre più spesso di percepirlo e ascoltarlo per periodi sempre più lunghi.
Provate a contare quanti respiri riuscite ad ascoltare prima che la mente si
distragga…
Poi possiamo provare con la fiamma della candela (Trataka,
ne parleremo in altro post…), con un fiore, con una musica, nelle calde sere estive
con una stella. Qualsiasi oggetto può andare bene al nostro scopo, purchè sia
per noi positivo, e non una fuga dalla realtà.
Mi spiego: di certo immaginarci sulle spiagge calde dei
caraibi può donarci un momento di piacere, ma poi? Quando apriamo gli occhi
nell’inverno piemontese che facciamo? Aspettiamo il prossimo momento di fuga? Lamentandoci
magari anche del fatto che su quella spiaggia non ci siamo davvero…
Il nostro oggetto di meditazione deve essere “neutrale”, possibilmente
costruttivo, un punto su cui tenere fisso il nostro sguardo per mantenere in
equilibrio la nostra attenzione. Un oggetto che possa sostituire la fiumara di
pensieri con qualcosa di stabile e positivo.
Il nostro oggetto di riflessione può essere anche un
concetto (yama e niyama), in questo caso bisogna fare però attenzione: facciamo
un esempio. Prendiamo come concetto la “gioia”.
Meditare sulla gioia non significa pensare alla gioia in
tutte le sue forme e sfaccettature, non che questo non sia utile, ma la
meditazione è altro. Proviamo a contemplare la gioia. Ci accorgeremmo che non
risulta facile, la gioia non è un’oggetto che possiamo osservare o
visualizzare. Ecco che ci giunge in aiuto il nostro simbolo, in questo caso può
essere la parola stessa “gioia”. La nostra meditazione allora può procedere sul
seme “gioia”. Possiamo ripeterlo come un mantra, seguendo magari il nostro
ritmo respiratorio; possiamo visualizzarlo, scritto sulla lavagna, in cielo
come una delicata scia luminosa o sulla
sabbia; possiamo scriverlo; possiamo osservare la scritta. Quale di questi
metodi scegliamo dipende anche un po' da che tipo di persone siamo, possiamo
anche sperimentarli tutti. Per quanto? Dieci minuti sarebbero più che
sufficienti, ma se desideriamo fare un lavoro profondo possiamo visualizzare (o
recitare, o scrivere anche solo nell’aria con il pensiero) la nostra parola
centinaia di volte al giorno: mentre siamo fermi ad un semaforo, in coda in
posta o al supermercato, mentre giriamo il sugo nella pentola o siamo a
passeggio con i cani, accarezzando il gatto, a luce spenta in attesa del sonno…
“gioia” diventerà parte di noi, e con essa tutto ciò che rappresenta, attirando
a se altra gioia…
Come pensate possa apparire il vostro viso se state pensando
“gioia”? Minimo sereno se non addirittura sorridente…
E si sa: i sorrisi sono come le ciliegie: uno tira l’altro…
sorriderà chi vi incontrerà, a chi incontrerà, in un’espansione di sorrisi!!
Fantastico!!
Bene, per ora è tutto…presto parleremo di “AHIMSA”
Namastè
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