Osservava
l’ambiente con fare curioso. Abbandonato allo schienale della sedia, le braccia
conserte sul ventre rubicondo. Gli occhi leggermente sporgenti fissavano ogni
singolo elemento della sala con quiete e vivo interesse.
Io fissavo
lui. Con emozione reverenziale nel cuore; tutte le domande che per settimane
avevo preparato e accarezzato con la mente in attesa di quell’incontro sembravano
essere svanite come neve al sole. Ero come paralizzata. La gola serrata, il
respiro sospeso come in attesa del ripartire della ragione.
Il suo
silenzio era un sollievo in quel momento di imbarazzo, interrotto dalla
gioviale voce di un giovane cameriere.
“I vostri
menù signori” posò le cartelle sulla tovaglia bianca e dopo aver sorriso girò i
tacchi affaccendato.
Senza
spezzare il silenzio egli rivolse la sua attenzione alla lista delle portate;
vedevo le sue iridi muoversi piano mentre sembrava studiare un importante
documento. Tentai l’impresa a mia volta ma le lettere mi apparivano gettate
alla rinfusa sul foglio bianco, la mia mente era altrove, in fermento per
quell’ospite tanto sospirato ed ora seduto di fronte a me.
D’un tratto posò
la sua lista da un lato e si sporse verso di me posando i gomiti sul tavolo e
lo sguardo nel mio.
“Allora…?”
la sua voce era calma, accogliente, ma il mio cuore balzò comunque in gola.
Sorrisi imbarazzata.
“Sono
nervosa Professore…mi scusi.” Abbassai lo sguardo. ” Era da tanto che sognavo di poter dialogare
con lei ed ora non riesco a spiccicare parola…” strinsi le mani in grembo.
Inclinò
appena il capo, come colpito dalla mia reverenza. Sorrise divertito “ Cosa ti
innervosisce tanto?”
Sentii i
miei occhi allargarsi e le gote avvampare. ma
non è evidente?
“...lei mi
innervosisce!!” sentii la mia stessa voce giungere da lontano, sembrava di
essere dentro una bolla, isolata dalla realtà. Lui rise di gusto a quella
confessione.
Ancora una
volta mi salvò dall’imbarazzo il ragazzo di sala che giunse sfoderando un largo
sorriso ed un taccuino.
“Pronti per
ordinare?”
“Tre
cucchiai di ogni tipo di primo piatto presente nel vostro menù.” il professore parlo
guardandolo dritto in viso, osservava la reazione del cameriere al proprio
ordine senza celare troppo il sorrisetto divertito dal disagio del giovane, che
per qualche istante rimase impietrito.
“Tre cucchiai?” chiese poi, incerto, il
ragazzo. Come per accertarsi dell’attendibilità del suo udito.
“Tre
cucchiai, non di più. Grazie.” La fermezza della voce di lui era allo stesso
tempo confortante e tremenda.
“…si…credo
si possa fare…si…” scrisse l’ordine con mano tremolante poi rivolse a me la sua
attenzione.
“Gnocchi al
pomodoro, con un po' di basilico fresco se possibile. Grazie mille.” gli
sorrisi cercando di rassicurarlo e percepii chiaramente il suo sollievo a non
dover segnare un’altra stranezza sul suo taccuino.
“Grazie
signori.” serio, con le gote pallide, fece un cenno d’inchino e si volse verso
le cucine in gran fretta.
Presi
coraggio e tentai: “Avrà certamente notato come negli ultimi tempi non ci sia
alcun filtro dei sistemi informativi di massa: ognuno esprime la propria
opinione quali che siano le sue competenze specifiche, creando in chi ascolta
molta confusione.” L’emozione rendeva la mia voce meccanica e troppo veloce, lo
sentivo ma non riuscivo a controllarmi. Come un’ombra apparve il ragazzo a
posare un cestino di pane ed una caraffa d’acqua su tavolo e di nuovo svanì.
“Ti ascolto,
continua.” mi esortò il professore dedicandosi al pane appena giunto.
“Trovo sia
ingiusto lasciare che, almeno per quanto riguarda i canali ufficiali, non ci
sia alcun metodo di selezione dell’informazione. Che senso ha che letterati
parlino di scienza e scienziati di letteratura?
Credo sarebbe
opportuno che in determinati contesti si debba avere una certa esperienza in
quel campo d’argomento per avere accesso all’uditorio pubblico. Se chiunque può
dire la sua il valore delle opinioni stesse si appiattisce verso il basso e l’ascoltatore
nel tempo non saprà più distinguere la corretta informazione…”
“Questo
lievitato è davvero ottimo, profumato e croccante!” mi interruppe, tra un
boccone di pane e l’altro. “Quindi ritieni che la responsabilità del pensiero
altrui sia di chi esprime il proprio?” continuò senza smettere di masticare con
gusto.
“Esatto!”
risposi di getto e subito mi corressi “cioè no. Non proprio...” scossi il capo
cercando di schiarire le idee. Sentivo la mente ricercare il filo perduto. “Intendevo
dire che qualcuno dovrebbe assumersi la responsabilità di selezionare le
persone adatte ad esprimere pubblicamente il proprio pensiero, per non confondere
il pubblico con opinioni prive di fondamento o addirittura errate…”
“Vino della
casa!” il cameriere apparve di nuovo come dal nulla a riempire i nostri calici.
“Grazie.” gli sorrisi cercando di nascondere il fastidio dell’interruzione.
Posò sul tavolo la caraffa e si dileguò in silenzio.
Il
professore tese al mano al calice, osservò il liquido rossastro prima di
assaporarlo, appena un sorso “una specie di supervisore…” sembrava testare
assieme il pensiero ed il vino. Annuii deglutendo. “Quindi la responsabilità
del pensiero dell’uditore va al supervisore.” sentenziò.
“Sì, giusto.
Qualcuno che possa verificare che chi esprime un’opinione in pubblico sia in
grado di…”
“E chi
valuta la competenza del supervisore?” mi interruppe ancora, lasciandomi questa
volta a bocca aperta e senza parole. Sentii le mie certezze vacillare mentre le
ordinazioni giunsero al tavolo. Un largo vassoio con una decina di mucchietti
colorati fu posato accanto al Professore. Dal mio piatto di gnocchi giunse alle
mie narici un gradevole profumo di pomodoro e basilico.
“Oh, che
meraviglia!” esclamò armandosi di forchetta, restando con la mano a mezz’aria,
come indeciso per qualche istante, prima di affondare i rebbi nelle trofie al
pesto.
Mi accorsi
della mia mano sinistra intenta a giocherellare in modo nervoso con il bracciale
al polso destro. M’imposi di smettere, premendo i palmi sudati sulle gambe. Lo
sguardo alla mia portata ancora intonsa, a capo chino, senza vederla. Il
pensiero in fermento. Certamente, ha
ragione. Che sciocchezza ho detto. Sarebbe una catena di controllo infinita e
costantemente passibile di corruzione ed errore. Supervisori di supervisori. Un
ciclo senza senso oltre che senza fine.
“Quali
competenze credi debba possedere un uomo per essere in grado di valutare il
pensiero di un altro?” mi chiese, forse percependo il lavorio della mia mente.
Sollevai lo
sguardo, osservandolo. Assaggiava una sola forchettata di ogni piccola
porzione. La osservava, annusava, masticava con cura. Poi passava alla successiva,
senza un ordine preciso, saltando dal pesto al sugo, dai ravioli agli
spaghetti.
“Dovrebbe
saper valutare il grado di competenza del candidato nello specifico argomento
di trattazione.”
“E con quali
competenze si valutano le competenze altrui?”
Questa volta
sollevò lo sguardo sul mio volto, mi sentivo esaminata come le portate di
fronte a lui. Speriamo non mi assaggi. Pensai
ironicamente.
Avendo a propria volta una competenza più
ampia... Pensai. “È impossibile.” dissi invece, con fermezza. “Nessuno
potrebbe avere un grado di conoscenza tale da poter valutare la conoscenza di
esperti di ogni argomento. Dovrebbe essere un’enciclopedia del sapere ed essere
privo del filtro delle sue stesse opinioni nei confronti dei dati in esame.”
Mi sorrise,
riportando l’attenzione dello sguardo al suo vassoio. “Questi quadratini
ripieni sono un’esplosione di sapore!” disse con entusiasmo inforcando il
secondo. Posò il gomito sul tavolo tenendo il raviolo all’altezza dello
sguardo, rigirando la forchetta sembrava stesse esaminando un’opera d’arte. “E dimmi”
indicandomi con il raviolo sulla forchetta. “Quindi, a questo punto, di chi
potrebbe essere la responsabilità del pensiero dell’altro?” si riempì la bocca
socchiudendo gli occhi in un’espressione di piacere, masticando nell’attesa
della mia risposta.
Avevo
perfino dimenticato il punto di partenza della discussione. Interessante: ho iniziata io la discussione
e ne dimentico il tema via facendo. Complimenti... La responsabilità del
pensiero altrui… “è dell’individuo”. Dissi pensando a voce alta.
“È chi
ascolta l’opinione che deve essere in grado di valutarla.” Continuai,
sollevando lo sguardo nel suo. Aveva posato la forchetta e la schiena alla
sedia. Mi osservava con il calice di vino tra le mani, sorseggiando. Fece solo un
cenno con la testa, per esortarmi a continuare l’elaborazione dell’ultimo
pensiero.
“Ma se un
supervisore dotto non può avere sufficiente conoscenza per valutare un oratore,
come può esserne in grado una persona qualunque?” chiesi, in difficoltà.
“Dipende da
cosa credi sia necessario alla valutazione stessa. Parti dal presupposto che
sia la conoscenza a dover valutare la conoscenza. Non ti viene in mente altro
metro?”
“L’intuito…”
sentii la rispostare giungere direttamente alle labbra, senza il filtro della
ragione. Lui sorrise. “È il sentire” continuai, abbassando lo
sguardo per raccogliere le idee, rimettere al loro posto i pensieri. Percepii
appena il cigolio della sedia sotto il peso dei movimenti del professore che
riprese il suo studio delle mini porzioni.
L’intuito è al di sopra della ragione. E poi
non si può pensare di poter delegare ad altri la responsabilità delle proprie
opinioni, così come delle proprie azioni. Deve essere il singolo, spinto
dall’ascolto del proprio intuito, a farsi carico della ricerca della verità
tramite la propria ragione. Non ci si deve fermare all’acquisizione di un
pensiero preconfezionato da altri, facendolo nostro. Va assaporato,
ascoltandone il ??? con il proprio sentire profondo. Bisogna prendersi carico
di se stessi sforzandosi attivamente nella ricerca di una verità conforme non
solo all’appagamento del pensiero critico, della ragione, ma anche dell’animo. Perché
la ragione può essere ingannata…
“Ma
Professore…” ripresi “come può l’individuo comune sviluppare una tale
sensibilità?”
“Stavamo
parlando di chi detiene la responsabilità mia cara, non della competenza o
della sensibilità dello stesso. O sbaglio?”
Presi finalmente
la mia forchetta. “Certo, si…” spostavo
gli gnocchi da una parte all’altra del piatto “responsabilità e competenza sono
due cose ben distinte…”
Come ho potuto confonderle?
“Tutto bene
Signori?” il giovane coraggioso era tornato “procediamo con i secondi?”
Chissà
questa volta il professore cosa avrebbe ordinato…
***
Commenti