Relazioni e Gomitoli



Ogni relazione ci fornisce uno strumento, un gomitolo.

Dalle relazioni con i nostri genitori e lo stretto nucleo familiare, a quelle con gli amici, con gli amori, con gli amanti, con i vicini di casa. Anche quell'istante in cui incrociamo lo sguardo con uno sconosciuto in fila alla cassa del supermercato; quell'attimo di intesa o di disaccordo con il passeggero seduto di fronte a noi sul treno o con il cassiere al casello autostradale; ognuno di questi momenti relazionali produce qualcosa.

Qualcosa che resta a noi. E solo a noi.

Siamo abituati a considerare le relazioni qualcosa di reciproco, ed in un certo senso è certamente così. Entrambe le parti ricevono un prodotto dalla relazione stessa. Ma il prodotto è dell’individuo, non delle parti in causa. L’uso che l’individuo può farne è sua completa responsabilità. Lasciare la libertà all’altro e farci carico della nostra responsabilità è un lavoro molto impegnativo e decisamente molto interessante. Attraverso questo lavoro smontiamo le strutture che coprono il nostro Essere incontrando la parte più vera di noi stessi ed impariamo a fare buon uso dei nostri giorni e delle nostre esperienze comprendendo quali sono i nostri valori e le nostre sincere attitudini. Uscendo dalla bolla di cecità attraverso cui tendiamo a vedere gli altri depositari di ogni responsabilità rispetto a ciò che ci accade o che proviamo nel nostro intimo acquisiamo un immenso potere.

Le relazioni sono fili.

Ma non sono fili che ci legano gli uni agli altri, sono fili che dobbiamo riavvolgere e che dobbiamo slegare dalle vite degli altri, per creare gomitoli con cui tessere la nostra individualità.

Il tessuto che compone la nostra individualità sarà unico poiché unica è la nostra collezione di filati. Per colore, per lunghezza, per qualità, per tipologia. Ognuno di noi possiede la sua mano nel creare il proprio tessuto portando l’attenzione su questo o quel dettaglio. Il tessuto prodotto non è il nostro Essere, è un prodotto delle nostre reazioni agli eventi relazionali, qualcosa con cui tentiamo di esprimere ciò che crediamo il nostro essere sia. Di quel tessuto faremo sfoggio con gli altri, mostrando di noi ciò che giudichiamo più di valore o lo nasconderemo se lo riterremo indegno dello sguardo altrui. 

Ma cosa ci aspettiamo dall’altro?

Il punto cruciale è proprio questo: l’altro. L’altro è libero, non ci deve nulla. Così come nulla noi dobbiamo a lui. Non significa scivolare nell’egoismo, tutt’altro. E’ qualcosa di molto più sottile e profondo. Qualcosa che ci dovrebbe portare a riflettere sul modo in cui abitiamo le nostre relazioni. È saper prendere ognuno di noi il proprio filo e farne buon uso, senza aspettare che sia l’altro a compiere azioni nei nostri confronti.

Ad ognuno il proprio gomitolo.

In ogni nostro gesto è celato, spesso molto bene, un profondo intento. Quale sia questo intento è la chiave della sincerità della relazione stessa. Nascosti come famigerati scheletri nei nostri armadi, questi intenti profondi ci fanno paura, perché svelano la nostra vera e più profonda natura, talvolta non così integerrima come vorremo fosse o poter mostrare. L’intento esiste. Sempre. E’ il motore dell’azione stessa, anche di quelle che riteniamo più naturali e sincere.

Perfino nei rapporti che giudichiamo per tradizione più sacri, come quello tra genitore e figlio o tra innamorati, esiste un profondo intento che va ben oltre la purezza del rapporto stesso. Comprendere quell’intento è la chiave per comprendere la verità della nostra Essenza, la nostra autenticità. Il nostro ruolo.

Analizziamo le nostre relazioni, esaminando il nostro esistere nella relazione stessa, il nostro modo di viverla. Cosa ci aspettiamo da un genitore? Da un amico? Da un collega?

Seguiamo il filo che abbiamo legato all’altro riavvolgendo il nostro gomitolo fino a liberare quel nodo.

Cosa otteniamo?

Definiamo una relazione buona o malsana in base a come l’altro agisce all’interno della stessa ed in base a quelle che sono le nostre emozioni in quel rapporto. Abbiamo imparato dei copioni traendoli da esperienze di vita d’altri; da tradizioni, religione e cultura, che seguiamo pedissequamente senza porci nel pensiero di quanto possa essere spessa la maschera che indossiamo per sentirci rappresentativi di quella situazione. Valutiamo noi stessi e i nostri partner relazionali applicando giudizi che legano il nostro operato a preconcetti e strutture acquisite ma mai analizzate. Spesso ritrovandoci a cercare di aprire porte con chiavi di altre serrature. Stiamo recitando. I nostri gesti non sono sinceri ma frutto di un indottrinamento, quale che ne sia la fonte. E così ci aspettiamo che anche l’altro segua il proprio copione ritrovandoci il più delle volte a soffrire per l’assenza di gesti attesi o la presenza di gesti ritenuti sconvenienti e dannosi.

Cosa fare quindi?

Seguire il filo, come Teseo a Cnosso. Dalla relazione con Arianna, Teseo, ricevette un gomitolo. Il modo in cui lo utilizzò per vincere il labirinto è però al di là della responsabilità della fanciulla.

Da ogni relazione riceviamo un gomitolo. Possiamo utilizzarlo per immergerci nel nostro personale labirinto in cerca dei Minotauri nascosti, per fronteggiare le nostre paure, i nostri segreti, scoprire i nostri tesori. Quanti più gomitoli sapremo utilizzare per indagare noi stessi tanto maggiore sarà il territorio svelato dell’animo nostro, tanti i tesori svelati. Oppure possiamo pretendere che sia l’altro a guidarci per mano. In tal caso non saremo mai liberi, perché sempre legati a questioni d’altri. Imbavagliati da tessuti che ci tengono, come camicie di forza, schiavi di noi stessi e degli altri.

Come sempre, la chiave di tutto è nelle nostre mani.

Riceviamo i primi gomitoli dai nostri genitori. Svolgerli significa risalire a quel nodo che ci lega a loro e scioglierlo. Non per recidere una relazione, ma per renderla pulita e pura. Priva di giudizi e aspettative. Per acquisire libertà e consapevolezza di noi stessi. Risalire significa osservare cosa sentiamo nei confronti di quella relazione, quale emozione si accende al pensiero di quel rapporto. E poi tenere tra mani quel sentire ed ascoltare cosa vuole insegnarci, cosa può svelarci. In questo modo slegheremo il nostro filo dall’altra persona diventando padroni del nostro potere su quella relazione.

Il dolore che si prova, ad esempio, per un genitore che giudichiamo incapace di amarci è un nodo. Avere il coraggio di riavvolgere il filo fino a quel nodo significa osservare il nostro dolore e comprenderlo. Capire cosa, da quel dolore, abbiamo avuto la possibilità di imparare di noi stessi. Sciogliere quel nodo significa scoprire che senza quel dolore saremmo qualcosa di diverso. Sapremo vedere che i gesti di quel genitore, sono gesti di una persona, di un individuo, di una donna, di un uomo a loro volta figli, fratelli, amanti. Gesti derivanti da un vissuto cui l’altro appartiene e da cui, probabilmente, non ha saputo (o voluto) svincolarsi.

Allo stesso modo possiamo sciogliere i nodi nei fili delle relazioni con i nostri amici, con i nostri amori, con i colleghi…

Ed i nodi che altri lasciano attaccati a noi?

Non esistono. Esistono solo nella realtà dell’altro.

Nella nostra verità esistono solo i nostri fili, i nostri nodi, 

i nostri gomitoli.

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