Nel Labirinto di Specchi



Il buio era spezzato dalle luci colorate delle giostre. Il silenzio relegato lontano dalle urla dei ragazzi e dei bambini in cerca di emozioni e zucchero filato e dalle musiche alte e pressanti che si accavallavano l’una a l’altra senza lasciare spazi. Ancora un giro, e un altro ancora, individui mai stanchi di lasciarsi shakerare dalle macchine moderne del divertimento. Sul perimetro dei baracconi la notte restava in attesa tra le ombre, come sul confine tra due realtà distinte. La casa del labirinto era proprio sulla linea di quel confine: l’entrata nella penombra ed il resto della struttura immersa nel buio. Forse proprio perché ai margini della luce non attirava pubblico, non serviva far la coda per entrare, nessuno era in attesa. L’uomo alla biglietteria trasalì quando chiesi un ingresso distraendolo dalle sue letture, tenne con un dito il segno tra le pagine del libro sgualcito.

Mi guardò un istante in viso, poi controllò la striscia di asfalto deserta tra noi e il resto del Luna Park.  “Entra, questa sera sei la prima”, facendo cenno con la testa in direzione dell’entrata “offro io…” sorrise con complicità. Sorrisi a mia volta, forse tradendo il lieve disagio, ma accolsi l’offerta ed entrai.

L’entrata si richiuse alle mie spalle con un lieve rumore metallico. Provai a riaprire la porta. Nulla, l’uscita andava guadagnata. Una strana sensazione di angoscia mi prese il ventre quando l’attenzione mise a fuoco l’ambiente. Un corridoio di specchi mi attendeva. M’inoltrai tra le due file di riflessi di me, alcuni fedeli altri distorti. Troppo alti, troppo bassi, larghi, snelli. Una sfilata di sconosciute me che ricambiavano il mio sguardo perplesso con volti a volte buffi a volte inquietanti. Le figure sembravano seguirmi di specchio in specchio senza in alcun modo suggerire una via d’uscita. 

Di lì a poco il tempo perse significato e le figure si moltiplicarono come frammenti di un vaso rotto: infiniti aspetti di una stessa realtà. E adesso? Mi domandai chi me l’avesse fatto fare. Ma cosa mai mi era preso per infilarmi in quel labirinto? In quel silenzio pesante ed assoluto. Sembrava di essere in un altro mondo, un luogo lontano dalle urla del divertimento delle centinaia di persone fuori di lì, a poche decine di metri da me, ma lontane anni luce. Forse avevo davvero sbagliato tutto. Forse avevano ragione loro. Loro avevano scelto le giostre più divertenti, assaporato i dolci più deliziosi, vinto i premi più ambiti. 

Ed io? Io ero lì, da sola, con decine di me che mi fissavano giudicandomi senza parlare. Decine di riflessi pronti a mostrarmi ogni spigolo del mio Essere, ogni angolo buio della mia personalità, ogni dettaglio dei miei molteplici errori. Un sospiro mi sfuggì sconsolato moltiplicandosi come un’eco nei petti dei miei riflessi. Sono in ballo, non resta che ballare…

Ripresi il mio cammino lungo i corridoi che si snodavano l’uno nell’altro, di specchio in specchio, di me in me. In ognuna di quelle immagini era nascosta una piccola parte della mia persona. In ognuna una paura. In ognuna un’emozione. Imparai piano piano a riconoscerle, a capirle. Ricambiavano il mio sorriso e le mie linguacce scherzose. Giocavano assieme a me ridendo dei loro difetti, mettendo da parte le paure per guardare oltre gli spigoli di nuove prospettive. Mi tendevano la mano. E le nostre dita si sfioravano, lasciando linee sulle pareti riflettenti, come fili che indicavano il passaggio. 

Ancora una volta il tempo mutò il suo ritmo, e divenne un valzer di accompagnamento alla danza di noi, che accarezzavamo il nuovo modo di svelarci l’una alle altre. Ogni immagine era diversa eppure ogni immagine ero io. Ero io la bambina impaurita e sola. Ero io la bambina giocosa e spericolata. Ero io la ragazza sicura e caparbia e, sempre io, quella agitata e scontenta. Ero io la donna pigra, e quella energica. Ero io l’amica e la nemica. Ero io che sapevo vedere le luci nella notte, e restavo io a vedere il buio nei giorni. Ero mille volte io. 

La molteplicità della mia persona mi fu chiara come d’improvviso, e subito non ricordai più cosa c’era prima delle molte me. Come avessi potuto non vedere che ero ognuna di quelle figure, ognuna di quelle persone, ognuna di quelle maschere. Ero colei che vedeva al di là dello sguardo indossando volti sempre diversi, in continuo divenire come mutevole è la vita stessa. 

Mi chiesi quante altre me avrei scoperto e conosciuto, quanti altri miei riflessi si sarebbero rivelati, il desiderio di scoprirmi aveva oramai preso il posto allo sconforto. 

Avevo dimenticato completamente il mondo fuori pronta a continuare il viaggio, quando l’uscita mi sorprese…

Rimasi ferma un istante, il mondo mi accolse come un boato di suoni e luci e colori e profumi, innumerevoli sensazioni. 

Mi volsi a rivedere il cammino percorso, sorrisi. Mi sentii per la prima volta completa e integra. E poi mi immersi nelle sensazioni del mondo pronta a scoprire l’incompletezza di quella nuova integrità.

*m


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