Un pezzo di me: il mio yoga


Questo post è per tutte le persone che solo una volta, o per un periodo, alcune da quando insegno, hanno seguito i miei corsi…per ringraziarvi desidero regalarvi “un pezzo di me”. Con Affetto.



Vi chiedo spesso di descrivere la vostra esperienza con lo yoga, perché mi piace conoscerla, perché
so che sarebbe utile a qualcuno dato che ognuno di noi ha la propria…e mi sono quasi d’improvviso
resa conto che non vi ho mai davvero raccontato la mia…condensare più di 11 anni di esperienze non sarà semplice, quindi cercherò di non farmi prendere la mano dalla vena romanzesca….

Buona lettura 😊



Era ottobre, 2006. Il centro Yoga si trovava a Principe, in un appartamento al settimo piano senza
ascensore, la sala aveva vetrate luminose anche nei giorni grigi…la luce è sempre rimasta legata a
quei ricordi. La prima volta che entrai per la prova, seduta in attesa che la lezione precedente terminasse, riflettevo…non ricordavo quando lo yoga bussò ai miei pensieri, di certo anni prima un caro
amico e compagno di liceo mi fece provare presso una proloco di Sestri di cui nemmeno ricordo il
nome, dovessi dire perché non frequentai…non lo ricordo. A quel tempo andavo in palestra ore e ore a settimana. E quando decisi di iniziare yoga stampai la descrizione dei chakra da internet e iniziai a
studiare mentre facevo cyclette in sala pesi senza capire un’H di quel che leggevo…

Il silenzio nella saletta d’aspetto fu interrotto dal canto del mantra finale, accanto a me era seduta una ragazza che dopo quella prova non rividi.


Perché ero lì?



Ero lì perché avevo bisogno di “magia”. Si, proprio “magia”…sono una sognatrice, lo sono sempre
stata. So creare universi ad occhi aperti o chiusi, vivere avventure lontane, avere poteri pazzeschi e
salvare il mondo dai cattivi…una volta da ragazzina per ore cercai di trasformarmi in Sailor Moon,
naturalmente senza riuscirci, ci rimasi abbastanza male.

Nel 2006 avevo 23 anni. Era un periodo…bhè diciamo particolare. Non ero felice, non ero triste, non lo so cosa ero. Progettavo una convivenza che ottenni non molti mesi dopo, pregai per un lavoro fisso che me lo permettesse e lo ricevetti, perché le preghiere di cuore vengono accolte, sempre, a discapito della consapevolezza con cui le formuliamo e delle inevitabili conseguenze. Credevo ancora che
forse un giorno avrei fatto l’architetto, in fondo ero in pari con gli esami con una buona media del
28…



Ecco, l’insegnante era pronta a iniziare la lezione,
il mio percorso di yoga iniziò quel giorno di ottebre.



Le prime volte mi colpiva la sensazione di leggerezza delle gambe, sembrava di camminare su tappeti elastici dopo la lezione. A volte arrivavo in sala con il magone che mi chiudeva la gola, mi sforzavo
di salire quelle rampe di scale sentendomi morire ad ogni gradino, letteralmente. Poi tutto svaniva,
nemmeno capivo come mai, ma svaniva. E affrontavo in qualche modo il resto della giornata che
sembrava a volte non finire mai.



In quel periodo e nei successivi ho pianto tantissimo. Ricordo che spesso mi addormentavo con la
faccia nel cuscino singhiozzante e mi svegliavo con la faccia da rana…arrivavo davanti al negozio
dove lavoravo prendendo letteralmente fiato, per immergermi in quella tensione, e molto spesso lo
stesso respiro lo prendevo prima di entrare in casa quasi alle 9 di sera per immergermi in altra
tensione. Giornate infinite che non cambiarono mai, cambiai io, e allora cambiai anche le giornate.



Per tutto il primo anno praticavo ogni giorno, il saluto al sole lo facevo in bagno, unica stanza di casa con abbastanza spazio per la mia pratica. A volte era una vera preghiera, chiedevo aiuto a non so chi per avere la forza di arrivare a sera…quel primo anno mi innamorai dell’hatha yoga. Il mio corpo mi dava tutte le soddisfazioni che il resto del mondo sembrava negarmi…la mia insegnante di allora,
molto “fisica”, non mi risparmiava intensi piegamenti salendomi letteralmente sulle gambe o sulla
schiena. “Respira sul dolore” mi ripeteva, e la sua voce ancora oggi echeggia quando lavoro su di me, con molta meno intensità di allora, perché il mio yoga negli anni è cambiato, cresciuto con me, e
continueremo a crescere e cambiare insieme, ora che vediamo il mutare della vita.



Quel primo anno finì con il trasferimento di quella maestra che mi fece amare l’hatha yoga…restai in quel centro per pochi mesi, la sostituta non mi stimolava, avevo bisogno di altro, ed iniziò la ricerca. Scelsi una scuola vicina al mio lavoro, semplicemente per comodità.
Andai, provai, non era male e restai.



Intanto iniziavo a cambiare…iniziavo a guardare la mia vita con “distacco”. A cercare di capire. Ben lungi dal comprendere cercavo nuove chiavi di lettura, nuove interpretazioni.
Piangevo meno, respiravo di più…



I grandi cambiamenti si notano dalle piccolezze. Fino ad allora le mie letture viaggiavano tra fumetti e romanzi preferibilmente intensi: avventura, fantasy, horror. Spesso chiudere una lettura per me era un vero dolore, abbandonare quel mondo che vivevo in sicurezza immersa in carta inchiostrata per
finire in questo dove le liti si alternavano alle delusioni ed alle speranze sempre più disilluse.
Quei libri erano una fuga, musica nelle orecchio ed occhi sulle pagine il mondo mi scorreva accanto
senza che nemmeno me ne accorgessi…treno compreso, dopo la prima volta che mi si fermò davanti e ripartì senza di me imparai ad aspettare di salire in treno prima di accendere il lettore.

Praticare due ore a settimana non mi bastava, chiesi alla mia mastra un libro, e da quel primo non
smisi mai di studiare. Ogni tanto riprendo ancora oggi qualche fumetto che amavo, per re incontrare
vecchie emozioni, ma poi sul comodino, in bagno, in borsa, in cucina, tra i dvd, in ogni dove oggi ci
sono testi legati alla pratica. Iniziai ad uscire dai sogni in quel periodo. Iniziai a guardarmi attorno.
Non ricordo quale insegnamento avevo letto del maestro Jiddu Krishnamurti che esortava a guardare il mondo, e così inizia a fare: a guardare il mondo. In bus iniziai a non rannicchiarmi più nei libri
(nemmeno di yoga) ma a guardarmi attorno. Visi, forme, colori. Piano piano con il tempo divenne
naturale e ogni giorno accadevano cose che erano balsamo per l’animo…un airone, un sorriso, un
bambino, un bel gesto, un bel colore, luci e suoni, il mondo diventava un parco giochi…mi accorsi
che se sorridevo venivo sempre ricambiata dall’universo.



Le “cose” che mi facevano male continuarono a farmene. Nulla di grave s’intenda, ad oggi lo dico
con coscienza che nulla era poi così letale, eppure soffrivo. Soffrivo tanto. E mentre le “cose” non
mutavano mutai io, ed iniziai a soffrire meno e ad agire di più. Non verso le “cose” ma dentro di me.



Era il 2010 quando iniziai il corso insegnanti, non volevo affatto insegnare, volevo sapere, capire.
Il centro che frequentavo in quel periodo aveva un corso attivo e la direttrice alla mia domanda
accettò di inserirmi tra gli allievi. Mi si aprì un altro nuovo mondo fatto di ascolto e ricerca di me.

Nuovi respiri, nuove scoperte, nuovi modi di vedere quelle “cose dolorose” che poi, forse, in fondo,
riuscivo a gestire.
Volevo stare bene. Meritavo di stare bene. Decisi di essere felice, ed iniziai a lavorare per capire cosa sia “essere felice”.

Iniziai ad interessarmi di alimentazione. Nella pratica tradizionale antica ci sono vere e proprie
regole, io semplicemente iniziai a studiare cosa fa bene e cosa no, a calibrare la mia dieta, a scoprire nuovi orizzonti del benessere.



Iniziai a meditare, come medita chi inizia, seduta in ascolto del respiro, in ascolto del vento, a fissare la fiamma della candela…eppoi meditare con gli anni divenne un ascolto quasi costante del mondo,
un vivere il corpo, un sentire cosa accade a pancia piena, a pancia vuota, dove va la rabbia, dove
nasce la gelosia, dove si sente l’amore. Un lasciare a qualche vizio un po' di spazio, imparando con il tempo a scendere a compromessi.

Iniziai a cambiare, non con poca fatica, quelle “cose” che mi facevano male, fino ad eliminarle tutte, a cambiare radicalmente il mio mondo fabbricandolo sulle mie necessità reali e non più su fantasticherie e aspettative, né su preconcetti di vita sociale o familiare miei o di altri, presi le redini della mia
esistenza e cercai di seguire la voce della mia natura. E l’universo mi rispose, tutto prese piano piano forma e ragionevolezza. Non senza giusti sacrifici, s’intenda. Ma il giusto sforzo, nella giusta
direzione, porta frutto…remare controcorrente solo amarezza.



Iniziai ad insegnare. La mia prima maestra una volta disse che chiunque inizia a praticare prima o poi finisce ad insegnare, forse oggi colgo la parte profonda di quella frase che ormai compie oltre 10
anni. Praticare yoga non significa fare i contorsionisti, ed insegnare non è guidare il corpo di una altro ad avvolgersi in strane forme, insegnare significa ascoltare. Sentire chi abbiamo di fronte e cercare
nel nostro piccolo di dare ciò che il cuore sente sia necessario. Chi pratica yoga insegna, tutti.
A guardare il prossimo, ad ascoltare, a cercare di capire, ad offrire il necessario, senza pretese.

“Chi pratica yoga insegna” mi dissero, io vi dico: “chi pratica yoga impara”, e non smette mai di
imparare. E non importa chi sia il praticante, se allievo o maestro, chi pratica impara, sempre.
Impara ad ascoltarsi ed ascoltare, impara a non giudicarsi né giudicare, impara ad osservare,
a cercare di capire. Ognuno con i propri tempi. Siamo universi, e per conoscere un universo non basterebbero infinite vite.
Tutti siamo specchi agli occhi del prossimo, quindi io da ognuno di voi imparo, ogni giorno, e di questo non vi sarò mai abbastanza grata…



Con immenso affetto,

Marcella


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