Ricordo l’ultimo compleanno negli “enta” della mia mamma. Passammo l’anno successivo a giocare sull'arrivo
degli “anta”. Io avrò avuto 16 anni o giù di lì. Sono trascorsi più di 20 anni,
volati come in un soffio, colmi di tanti eventi e tali cambiamenti che mi
sembra di aver vissuto più di una vita. A volte penso che le reincarnazioni
siano questo: le rinascite ad ogni evento “mortale” che la vita ci riserva.
Gli “anta” adesso guardano me da vicino, mi aspettano alla
prossima fermata come le amiche all'addio al nubilato. Me le immagino così:
vestite in modo più ridicolo che provocante, con lustrini e piume di struzzo.
Borse piene di cinesate con cui addobbare i nostri corpi che contengono animi
più giovani dei corpi stessi e più giocosi di quando i corpi, giovani, lo erano
davvero.
Perché è così che mi sto scoprendo, di anno in anno: più
giovane, più giocosa. Più pronta a “succhiare il midollo della vita”. Una Benjamina
Button del nuovo millennio.
Mi guardo dentro e sono ancora la stessa ragazza che al
liceo faceva il giro della colonna solo per perdere tempo con un compagno di
classe; che scriveva bigliettini infiniti sugli argomenti del giorno durante le
lezioni; che aveva inventato un alfabeto di segni con la propria amica del
cuore per scriverci cartoline che nessuno capiva e che ho ancora riposte in un
cassetto, anche se non so più leggerle…
Ricordo l’esatto momento in cui, in gita scolastica in
quinta liceo, puntai quello che sarebbe diventato settimane dopo il mio
fidanzato. Poverino. A lui piaceva un’altra compagna, era palese. Con il senno
di poi mi sembra quasi di averlo costretto a me, con la cocciutaggine del
capriccio che sa caratterizzarmi. Ma quella storia durò oltre quattro anni… non
fu poi così un capriccio. Fu l’amore delle mie prime volte, dei primi pianti,
delle emozioni nuove e sconcertanti, dei drammi adolescenziali. Dello scoprirmi
come parte di una coppia, quasi annullandomi, plasmandomi su ciò che credevo
volesse io fossi. Fino a scoprire che a volere altro ero proprio io.
Ricordo i giorni trascorsi tra le aule universitarie, le
notti insonni a preparare i materiali d’esame. Quel batticuore folle che
scuoteva il petto quando di lì a poco sapevo essere il mio turno d’interrogazione.
I voti ingiusti e quelli guadagnati con fatica. Le risate al bar con le amiche.
Quell'atmosfera di spazio aperto ma in una sola direzione, ignota ed un po' spaventosa,
quella del futuro in attesa come un drago nella grotta. E quel momento in cui
realizzai piano piano che non c’era passione, non c’era vero interesse, proseguivo
sulla via perché l’avevo scelta e mi era stato insegnato di non abbandonare il
cammino intrapreso. Così lo abbandonai.
Ricordo il primo trasloco, di poche cose, inscatolate con l’aiuto
di un caro amico. Sarebbero entrate tutte nel retro di una utilitaria. Ed i
traslochi successivi, sempre più pesanti, più ingombranti, più impegnativi. Fino
a pensare, oggi, che lascerei tutto un’altra volta. Per traslocare di nuovo in
leggerezza. Porterei con me solo pochi cambi e tutti i miei libri, perché le
cose nella vita arrivano quando servono, sono sempre giunte. Anche quelle poco
gradite. Quelle che fanno pensare, talvolta, come mi ha scritto un’allieva
giorni fa: “nulla va come avrei voluto”.
Ma come avrei voluto?
Se cerco di ricordare davvero, con attenzione, io non lo so
bene come avrei voluto.
So che spesso ho scelto con la testa, senza il cuore. Altre con
il cuore, senza la testa.
So che sono caduta tante volte e mi sono sempre rialzata. A parte
una volta da bambina…quella volta volai giù dalla bicicletta e non riuscii a
risollevarmi. Uno sconosciuto mi prese in braccio e mi portò a casa. Non so se
era giovane o vecchio, biondo o bruno. So solo che era un uomo e che fu lì al
momento del bisogno, come un angelo. E sperai tante volte di essere salvata ancora dai mostri che sentivo minacciarmi, dalle cadute. Ma solo quando
capii che dovevo salvarmi da sola, e mi sentii forte, incontrai il vero
angelo custode.
So che ho avuto paura, che ho versato fiumi di lacrime, che
non ho capito gli altri innumerevoli volte prima di iniziare a capire un
pochino me stessa.
So che ho guadagnato ogni grammo dei miei successi, senza
sconti. O forse, questo non lo posso sapere…perché so anche, con certezza, ora
che rivolgo lo sguardo indietro per scrivere queste righe, che sono sempre
stata protetta. Anche tutte quelle volte che mi sono sentita inerme e
disperata, ora lo so, una mano è sempre stata posata sulla mia spalla. Una voce
mi ha sempre saputo sussurrare le parole giuste per darmi forza. Che sia stato
Dio, Shiva, la voce delle Sorelle, o solo quella del mio cuore, resta il fatto
che alla fine aveva ragione. Che ogni volta che ho dovuto attraversare il buio,
sono tornata nella luce con qualcosa di potente: un nuovo pezzo di me.
Oggi sento quella mano sulla spalla nitidamente. Sento quella
voce con chiarezza. E so che non importa quanto buio dovrò ancora attraversare,
o quale tempesta affrontare. Quante lacrime ancora da versare.
So solo che ne uscirò più forte. Più me.
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