to share, or not to share...



Condividere. Dividere con.
Negli ultimi anni si fa un gran parlare della condivisione.
Si condivide sui social, si condivide il viaggio, il percorso, la conoscenza…
Condividere è un’opportunità immensa.
Sorvolando sull’innumerevole mole di condivisioni di ricchi e sicuramente prelibati manicaretti, sugli abiti eleganti e sui visi deformati dall’App di tendenza del momento, la condivisione è di certo uno strumento molto potente.
Come al solito però necessita di una grande premessa: la presenza e consapevolezza di chi sta condividendo.
Credo sia doveroso fare una precisazione importante: c’è condivisione e Condivisione.
La prima in minuscolo è la condivisione sui social. Meno importante? In parte. Come molti uso Facebook, Instagram, Youtube. Inciampo nelle condivisioni più varie e variegate. Alcune goliardiche, simpatiche, direi “leggere” . Immagini e frasi che raccontano un piccolo pezzo di noi ad amici e conoscenti che in qualche modo, anche così, mantengono un legame con noi.
Altre spinose, rabbiose. Altre ancora piene di dolore. Considero questa forma meno importante per l’assenza di alcune componenti che ritengo necessarie ad una “vera condivisione”.
La seconda, invece, ci mette in gioco davvero. Cosa cambia? L’essere lì. Occhi negli occhi con chi ci sta ascoltando, senza vie di fuga dalla propria voce che esprime il nostro sentimento né dalla reazione di chi lo riceve. Sono queste le componenti che rendono la condivisione sui social meno importante.
Condividere è stata ed è una via di crescita nel mio cammino personale. Alcuni eventi molto dolorosi della mia vita sono stati certamente superati anche grazie all’esperienza di chi, prima di me, aveva affrontato esperienze simili. Spesso il non sentirsi soli nell’esperienza è una medicina molto potente…
Condividere è stato essenziale nel percorso di istruzione per diventare insegnante di yoga, e lo è nel percorso del Reiki.
Sono quindi una grande fan della condivisione delle proprie esperienze poiché ritengo possano essere di ispirazione o aiuto ad altri, oltre che un mezzo per mettere meglio a fuoco una condizione personale, per dare struttura ad un sentimento, per mettere ordine in un scatola di pensieri.
Ma quando una condivisione è utile? Quando diviene un appagamento del proprio ego, un modo di mettersi in mostra, un tentativo di scrollarci dalle spalle un senso di colpa, una vergogna, una responsabilità…? Quando diviene una forma di lamentela o di ricerca di approvazione?
Seguendo le linee dello yoga tradizionale anche nel condividere si possono applicare i principi di Yama e Niyama, di cui abbiamo già diffusamente parlato.
La nostra condivisione meriterà una “c” maiuscola se sarà nata dal sincero desiderio di porre qualcosa di nostro al servizio di altri.
Se non è violenta nei modi e nei toni, e non porta in se il desiderio, magari nascosto, di ferire il prossimo o di mettersi in mostra.
Se porta la verità della nostra esperienza. Se è contenuta nei tempi, nel rispetto di chi ci ascolta e di chi a sua volta desidera ascolto.
Scegliamo quindi con cura le parole da utilizzare per portare il nostro pensiero all’orecchio degli altri.
Ascoltandoci prima per qualche momento in silenzio, centrandoci per usare un vocabolo tipicamente “Reiki”.
In centratura ascolteremo quel pensiero che tenta di uscire dalle nostre labbra. E ci chiederemo con quale animo lo stiamo elaborando. Se il nostro pensiero è limpido, se deriva dal nostro studio di noi stessi, o dal nostro desiderio di comprenderci meglio, allora portiamolo alla luce.
Senza aspettarci nulla in cambio.
Il nostro pensiero sarà come un seme gettato al vento, desideroso di germogliare, ma ormai lontano dalle nostre mani e libero di seguire la sua strada spinto chissà in quali terre fertili o destinato a restare racchiuso tra i ghiacci.
La nostra responsabilità è racchiusa nel donarlo, oltre quel gesto non ci appartiene più.
Una volta posto nel cuore di altri saranno gli altri a decidere cosa farne…
Non caricheremo il prossimo della nostra aspettativa che egli segua il nostro sentiero, che lo approvi, che ci sorrida , che ci assolva togliendoci dalle spalle chissà quale peso.
E se abbiamo paura di esprimerci?
Bene. Sarebbe un’ottimo aspetto di noi sul quale lavorare… Cosa ci blocca?
Generalmente i luoghi di condivisione sono luoghi protetti: amici, famiglia, cerchi di crescita personale nell’ambito per esempio dello yoga o del reiki. Quindi siamo al sicuro.
Chi ci ascolta ci vuol bene nel caso di parenti ed amici.
E nel caso dei cerchi l’uditore è qualcuno che, come noi, è li per crescere, ascoltare e portare a casa una piccola luce in più.
Non vi giudicheranno, né penseranno male di voi. Forse non carpiranno ciò che desiderate portare alla luce, ma ognuno ha il proprio filtro ed ognuno percepisce a modo suo.
Se saremo chiari nel nostro dire e nel nostro intento…avremo lasciato andare il nostro seme.
Agli altri responsabilità e scelta sul coglierlo o meno.
Nessuna vergogna quindi…
Lavoriamo con amore nell’elaborazione delle nostre esperienze così che possano diventare semi sani e forti da poter lasciare andare nel vento in cerca di terre nelle quali germogliare…
Marcella

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