Gli occhi percepiscono
solo forme e colori, ma non vedono. Non riconoscono.
Sono strumenti
al nostro servizio.
Forniscono alla
nostra coscienza elementi da elaborare e con i quali farci un’idea del mondo
che ci contiene.
Mescoliamo tra
loro le percezioni dei nostri occhi e quelle degli altri sensi aggiungendo come
in una vecchia ricetta decide di altri ingredienti….
Le
esperienze del nostro passato, e quelle di chi il proprio passato ce lo ha
raccontato.
Le speranze
per il nostro futuro e per quello dei nostri cari. Progetti, sogni, paure.
Ciò che
crediamo sia giusto in base alla nostra educazione familiare, scolastica,
religiosa.
Le credenze
legate alla cultura del paese in cui siamo cresciuti, alle sue tradizioni.
A tutto
questo si aggiunge lo stato emotivo con cui abbiamo colto l’immagine del nostro
sguardo.
Siamo soli o
in compagnia? Innamorati o arrabbiati? Delusi o euforici?
Tutto questo
processo avviene in un istante.
Nell’istante in cui il nostro sguardo si posa sul colore
giallo e luminoso delle foglie dell’acero d’autunno che si proiettano verso un
cielo azzurro la nostra mente elabora ricordi e sensazioni sovrapponendo a
quelle forme colte dagli occhi il nostro mondo interno. Ed ecco che quell’immagine
diverrà di gioia o malinconica. Accenderà un ricordo doloroso o aprirà una
finestra sul sogno del futuro.
Ma dove siamo noi in tutto questo?
Sappiamo quanta parte del nostro mondo è dentro e non fuori di
noi? Inevitabilmente osserviamo la realtà giudicandola secondo criteri
dualistici di bene e male, giusto o sbagliato, posando etichette su ogni cosa
venga colta dalla nostra attenzione. Valutando e valutandoci con metri di
giudizio che spesso nemmeno ci rendiamo conto di avere ma che caratterizzano
ogni nostra azione e scelta.
Caratterizzano l’immagine stessa che abbiamo di noi. Ci proiettiamo
in questo mondo che nessun altro saprebbe vedere. Un mondo solo nostro perché nessuno
conosce davvero la nostra intimità, il nostro essere profondo. Nessuno può
sentire le nostre sensazioni e davvero percepire lo stato con cui ci portiamo
nella vita di giorno in giorno. Eppure, in questo mondo solo nostro,
costantemente ci mettiamo in paragone con il prossimo alla ricerca di una
sensazione di appartenenza fatta di gesti e attitudini che ci facciano sentire
vicini all’immagine che abbiamo creato del “buono e corretto”. Non importa
quanto questa rincorsa al conformarci sia dolorosa. Quanto più crediamo sia
quella la figura corretta tanto più saremo disposti a sacrificarci per
raggiungerla.
Complicato e complesso risulta l’accorgerci di noi in tutto
questo. Del vero “noi”.
Della parte pura e genuina dei nostri impulsi naturali,
delle nostre inclinazioni. Risalire dal mondo della mente alle forme pure della
percezione. Spogliare l’acero di ricordi e speranze per vederlo nella sua luce
di essere indipendente ed irripetibile. Un attimo di realtà fuori dal mondo
della dualità, senza etichette, senza giudizi.
Risalire dall’immagine che abbiamo creato di noi,
spogliandola dei desideri e delle credenze, delle paure e delle opinioni, per
risalire alla nostra vera forma. A quello sguardo che incrocia il nostro al di
là dello specchio implorandoci talvolta di essere visto e riconosciuto. A quel
viso che ci osserva senza essere visto, alla voce del nostro io che ci ricorda
costantemente chi siamo, cosa vorremmo davvero, cosa abbiamo saputo affrontare
e superare rialzandoci con gloria ad ogni caduta del cammino.
Serve un piccolo sforzo di presenza per accorgermi che il
triangolo bianco non esiste. Che è solo la mente ad elaborarlo facendo la somma
dei vuoti delle figure attorno. Mostrando un totale che nella realtà non
appare, che è solo una sintesi priva di coscienza.
Solo portando la coscienza nell’atto del vedere consapevole
potremo creare un mondo di qualità nel quale vivere senza esserne vittime inconsapevoli
di illusioni ottiche.
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