Nella stanza c’è confusione. La polvere è posata su pile di
oggetti disposti alla rinfusa. Sacchetti e scatole dimenticate, accatastate. Lo
spazio è colmo al punto da rendere difficoltoso il passaggio. I mobili sono
irraggiungibili. La finestra chiusa e coperta da spesse tende non lascia
filtrare nulla dell’esterno, non saprei distinguere il giorno dalla notte. L’estate
dall’inverno. Non si respira. Come se l’aria fosse densa, compatta, piena. Lo spazio
non permette sosta, non c’è un luogo in cui fermarsi nella comodità, tutto
spinge, opprime, respinge, stringe.
No, non sono a mio agio. Così non va proprio. Voglio aprire
quella finestra, vedere il giorno, il cielo, le stagioni. La pioggia picchiare
sui vetri, il vento scuotere il mondo, il sole riscaldare gli animi.
Porto fuori tutto.
E’ un lavoro impegnativo. Fisicamente. Come ho potuto
accatastare tanta roba? Nel timore di poterne aver bisogno, nel timore di non
saperne fare a meno. Nel timore. Timore di che? Di cosa ho paura?
Ho impacchettato tutto così bene da non ricordare nemmeno
cosa ho tenuto. Oggetti doppi mi fanno l’occhiolino da dentro cassetti mai
aperti pieni di cose mai utilizzate. Regali che non ho il coraggio di buttare
per non offendere chi li ha donati. Lettere che non ho spedito ed altre che non
ho letto.
Cose. Una valanga di cose impolverate che sembra non finire
mai. Devo trovare un criterio, un ordine, una linea da seguire per non perdermi
in questo labirinto.
Tutto ciò che non ricordo di avere o che non ho mai usato si
regala o si butta. Forza e coraggio.
Anche se mi ricorda cose belle, il ricordo è in me, non in
quella superficie, non in quell’oggetto. Se ho voglia di riviverlo posso
cercarlo in qualsiasi momento. Fuori, fuori tutto. Mi manca perfino l’aria.
Anche se ricorda cose brutte. Le cicatrici le ho sulla
pelle, certo non le dimentico se mi sbarazzo di quel monito.
E via queste tende pesanti, voglio vedere il cielo, il
fuori, lo spazio.
Voglio potermi muovere, vedere, sostare, respirare. Voglio la
luce. Voglio lo spazio pieno di niente.
Quel niente favoloso che può contenere il tutto.
Come un palcoscenico, voglio uno spazio che si possa
plasmare, modificare. Voglio tutto. E posso averlo solo nel nulla.
Nel vuoto.
Nel vuoto posso creare, costruire, modificare, cambiare. Ogni
volta posso essere qualcosa di nuovo e sorprendente. Posso Essere. Posso crescere
come albero da seme. Tengo solo la terra di cui nutrirmi, l’acqua, il sole. Nessun
preconcetto, nessun orientamento prestabilito. Solo colori primari con i quali
ogni volta sperimentare nuove tinte su una tela che sa tornare bianca come luce
ogni giorno. Ma chi l’ha detto che devo essere alba o tramonto? Io sono il
cambiamento, il percorso, l’evoluzione.
Sono l’alba e sono il tramonto. Il giorno e la notte. La vita
e la morte.
Via la sicurezza apparente, affascinante, dei percorsi già
fatti da altri e raccontati. Voglio usare i miei occhi per descrivere il mare,
usare il mio cuore per sentire il dolore, sulla pelle, nelle ossa. Sentire ogni
sapore. Via la solidità di costruzioni acquisite e date per scontate. Voglio solo
i pezzi da poter plasmare ogni volta in continua creazione di forme sempre
nuove diverse, a volte le stesse, a volte incomplete. Che si ergano in altezza
o si espandano in larghezza. Voglio lasciare pezzi fuori, non usarli. Voglio buchi
da riempire e pieni da spostare. Voglio creare labirinti in cui potermi
perdere. Stanze in cui poter dormire. E voglio poter abbattere ogni parete e
riportare i pezzi alla terra. Come mandala di sabbia voglio il coraggio di
saper soffiare via ciò che ho creato.
Uno spazio pieno solo di luce, che invada ogni angolo, ogni
spigolo, ogni particella di possibilità.
Voglio il silenzio che contiene ogni parola.
Voglio il nulla per scegliere ogni volta se avere il tutto.
Voglio non essere per sentirmi libera di Essere.
Commenti