Caratterizzare se stessi è un lavoro che richiede tempo.
Impegno. Con occhi attenti si scruta il mondo fin dall’infanzia in cerca di
tratti di nostro interesse che possano ispirarci come Eroi da seguire ed
emulare. Con impegno eguale scrutiamo gesti ed ascoltiamo parole, seguiamo le
forme, criticando con attenzione tutto ciò che vorremmo evitare di essere.
Riecheggia nella mente la voce di mia madre…:”nell’acqua che
non vuoi bere rischi di affogare”.
Mi è sempre rimasta impressa, infondendo una sorta di timore
ancestrale per tutti quei litri d’acqua che soprattutto da ragazza rifuggivo
attentamente. Ovvio che negli anni mi abbiano trovata, e affogata.
Ma il bello è che si rinasce ogni volta con pelle nuova e
ali più grandi di piume variopinte e pronte a volare, speranzose che questa
volta il piumaggio non resti solo un vezzo ma che divenga funzionale. Piume che
desiderano sentirsi accarezzare da venti di cieli alti, da soffi di nuvole e
cirri.
Ma torniamo a noi…caratterizzare dicevamo.
Con anni di paziente lavoro creiamo la nostra forma, come un
Avatar, che ogni mattina al risveglio curiamo addobbando di dettagli che la
rendano riconoscibile a chi la incontra. Una forma che ci contenga e che mostri
al di fuori solo ciò che riteniamo possa essere mostrato, celando con
accuratezza lati di noi stessi che giudichiamo fuori posto. Inadatti a quell’immagine
tanto ben costruita, fuori dal coro. stonati e sgarbati li ricacciamo nel fondo
del cassetto ogni qual volta ne vediamo l’ostinato risbucare alla luce.
Parti di noi che ci mettono a disagio, per le quali ci
sentiamo giudicati, osservati, ghettizzati. Parti che non possiamo né vogliamo
comprendere, capire, osservare.
E così come farebbe un bravo architetto giochiamo con le
forme, con i pieni ed i vuoti della nostra personalità costruendo nel tempo una
bella corazza che ci faccia sentire sicuri nel solcare il mondo degli altri,
liberi da rimproveri, accettati, parte di qualcosa che riteniamo giusto e
bello.
Talvolta capita, però, che quella forma artefatta nel tempo
si allontani sempre più dalla nostra realtà interiore creando un castello di
forme vuote ad avvolgere insicurezze profonde e paure lontane. Il castello posa
su labirinti di cantine in cui con pesanti catene giacciono segregati e
talvolta dimenticati i lati di noi che abbiamo giudicato colpevoli e indegni di
vivere alla luce del sole. Troppo faticoso sarebbe stato il tentare di
ascoltarne la voce profonda in cerca di un confronto, di una mediazione, di una
integrazione. Sono stati celati perché ritenuti inadatti a quelle leggi non
scritte di società, cultura e tradizione che abbiamo accettato firmando un
contratto pieno di voci nascoste che nessuno ci ha letto e che mai abbiamo
cercato.
E fu per non udire quei richiami echeggiare come il battito
del cuore dei racconti di Poe che abbiamo creato un castello in altezza, pieno
di scale che ci portassero lontano da quei sospiri, da quei lamenti, da quel
cercare di fuggire irritante e presuntuoso delle nostre parti incarcerate. Accorgendoci
che nonostante le spesse mura e le alte stanze la distanza non era mai
abbastanza. Le voci sembravano scaturire dalla profondità del nostro stesso
cuore.
Prendiamo coraggio, scendiamo. Gradino dopo gradino. Proviamo
a smontare sasso dopo sasso quest’immensa costruzione piena di niente,
scivolando alleggeriti verso la terra e le radici. Scendiamo nelle segrete del
nostro castello, della nostra mente. Seguendo quelle voci, cercandone la fonte,
osservando negli occhi quelle parti che abbiamo chiuso in gabbia a volte spinti
dalla paura degli altri, timorosi che la luce del sole potesse ferirli li
abbiamo nascosti raccontando a noi stessi che era per il loro bene, per zittire
i rimorsi. Scivoliamo con le dita sulle fredde catene fino a sentire la pelle
del nostro stesso Essere, incontrarne il calore, riconoscerne l’odore. Scopriamo
in quei volti qualcuno con cui confrontarci, comunicare, scoprendo nuove
versioni di un mondo che non avevamo accettato di prendere in considerazione. Liberiamoli.
Accompagnandoli, tenendoli per mano alla luce del sole. Costruendo con il loro
aiuto un giardino fertile che possa dare fiori e frutti alimentando la nostra
anima ed il nostro cuore. Espandendo il nostro essere di parti sempre nuove,
danzando con loro come steli d’erba che si lasciano ondeggiare al tocco della
brezza calda dell’estate. Lasciamoci essere mutevoli come le stagioni. Come le
fasi della luna. Come le maree. Senza cristallizzare in forme statiche e
pesanti, ma espandendo confini sempre più ampi ricolmi di ogni varietà
esistenziale. Lasciando emergere ciò nel solo suo esistere ci riempie di gioia.
Raccogliamo tutti i frammenti lasciati indietro nel tempo
per ricostruire la nostra vera interezza.
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